Alle spalle di Giuseppe Conte ai tempi della pandemia

Me lo avete chiesto in molti: da quando siamo chiusi in casa per paura del contagio Giuseppe Conte ci parla da Palazzo Chigi. Alle sue spalle c’è un quadro: nelle dirette si intravedono le gambe in calzamaglia dei personaggi e, sulla destra, quando non è celato dalle bandiere, un bel didietro plastico di un cavallo bianco.
E allora cos’è questo quadro? Chi lo dipinse? Cosa rappresenta? Qual è il suo significato?

Per prima cosa bisogna chiarire che quella di Palazzo Chigi è una copia: ci troviamo dunque nella Sala delle Galere.

Ma concentriamoci sull’originale: si tratta di un affresco che rappresenta l’incontro tra Leone Magno e Attila, fu dipinto da Raffaello, con un grande contributo della sua bottega, tra il 1513 e il 1514. Si trova nelle Stanze Vaticane, precisamente nella Stanza di Eliodoro.

Le Stanze di Raffaello sono quattro e furono dipinte su committenza di Giulio II Della Rovere, durante i lavori il papa guerriero morì e gli subentrò Leone X Medici.
Giulio II volle a tutti i costi evitare di usare le stanze del dissoluto predecessore Alessandro VI Borgia: si trattava di una scelta politica ed etica che doveva assolutamente avere degli effetti tangibili anche nell’architettura e nella decorazione. Scelse dunque di non usare l’Appartamento Borgia ma piuttosto le stanze sovrastanti già affrescate da illustri pittori. Una personalità guerriera e accentratrice come la sua non poteva assolutamente adattarsi ad usare degli ambienti già dipinti e, su consiglio del Bramante, scelse l’urbinate per il rinnovo dei locali.

La prima ad essere affrescata, tra il 1508 e il 1511, fu la celeberrima stanza Segnatura. La Stanza di Eliodoro fu dipinta dopo: tra la seconda metà del 1511 e fu portata a termine nel 1514. Sappiamo che l’ultimo pagamento ricevuto da Raffaello è del primo agosto del 14. Sulle pareti sono affrescate quattro storie: La Cacciata di Eliodoro dal Tempio, La Messa di Bolsena, La Liberazione di San Pietro ed infine il nostro Incontro tra Leone Magno e Attila. Il tema della stanza tutta è l’intervento di Dio in favore e a protezione della chiesa: nella Cacciata di Eliodoro dal Tempio il ladro e profanatore Eliodoro viene atterrato sotto gli zoccoli di un cavallo bianco. Tutto l’affresco è percorso da una forza centrifuga attivata dalla figura centrale: il sacerdote Oria in preghiera. Sulla sinistra Giulio II assiso sul trono papale e circondato da cardinali assiste alla scena. Nella parete accanto, quella sulla destra con la finestra, abbiamo la Messa di Bolsena: si tratta della raffigurazione di un miracolo occorso nel 1263 appunto a Bolsena dove un sacerdote boemo, dubbioso della transustanziazione, vide sgorgare sangue dall’ostia da lui appena consacrata. Sulla parete di fronte, a sua volta con una finestra, abbiamo La Liberazione di San Pietro dal Carcere dove l’intervento di Dio in favore della liberazione di San Pietro è raccontato secondo il procedimento della narrazione continua in tre momenti: il primo al centro in cui Pietro è in carcere sorvegliato da due vegliardi e l’angelo con la sua luce divina interviene facendoli addormentare; il secondo, sulla destra, quando l’angelo conduce per mano Pietro fuori dal carcere mentre i guardiani sono assopiti in un sonno profondo ed infine la terza: il carcere sgombro e i carcerieri, ormai desti, in subbuglio e indicanti la cella vuota. Protagonista di questo affresco è senz’altro la luce: quella chiara e divina dell’angelo si distingue da quella delle fiaccole e dal chiarore rossiccio delle prime luci dell’alba che si riverbera sulle armature dei vegliardi.

A sinistra della Liberazione di San Pietro dal Carcere e quindi di fronte alla Cacciata di Eliodoro dal Tempio abbiamo il nostro Incontro tra Leone Magno e Attila. L’affresco raffigura questo storico incontro avvenuto nel 492 nei pressi del fiume Mincio. Sulla sinistra abbiamo il papa benedicente e a cavallo circondato dal corteo sacro e armato. Sulle loro teste si librano in volo San Pietro e San Paolo armati di spade; sulla destra abbiamo invece il gruppo degli Unni capeggiato da Attila anch’egli a cavallo. La propaganda cristiana vuole che Attila avesse deciso di invadere e saccheggiare la penisola ma che poi incontrando papa Leone Magno e visto l’esercito degli apostoli armato di spade abbia cambiato idea. Nel 1513 Giulio II morì e gli successe Leone X Medici: il nuovo papa era molto persuaso dall’idea di affrescare le sale citando le imprese dei papi che, nel corso dei secoli, avevano il suo stesso nome; anche la sala successiva: quella dell’Incendio di Borgo sarà affrescata con l’impresa di Leone IV di spegnere il fuoco che stava devastando la città santa soltanto con il potere della preghiera. In questo incontro dunque Leone Magno ricevette le sembianze del neoeletto papa Medici, la cui effigie già appariva, prima della sostituzione, nell’ultimo cardinale a sinistra. L’ambientazione è suggestiva e interpretativa: non si tratta del nord Italia come vuole la letteratura bensì di Roma. L’affresco presenta ormai lo schema compositivo asimmetrico che dominerà le stanze successive: a sinistra, quindi alle spalle del corteo papale, il paesaggio è dominato da una basilica, un acquedotto e dal Colosseo ed è illuminato dalla luce serena del giorno; a sinistra invece, dalla parte degli invasori, il paesaggio è dominato da una collina sulla quale stanno divampando alcuni incendi.